sabato 21 giugno 2008

Ciao Sergente

Come con Gigi, lascio la parola a chi l'ha conosciuto meglio di me ...

16 giugno 2008

Lasciate che non dica niente del Sergente, della neve, della guerra in Russia.
Lasciate che io non parli, non scriva della sua morte, perché non avete bisogno di parole aggiunte, di note, di immagini.
Lasciate in pace la sua tomba senza portare fiori.
Lasciate i quotidiani fare il loro giusto e non facile mestiere di testimoniare la perdita.
Leggete non oggi ma tra un mese, tra un anno e ogni tanto ancora quello che magari avete già letto dei suoi libri preziosi.
Leggete ad alta voce "Arboreto salvatico" a dei bambini, poche righe alla volta.
Viaggiate una volta nella vita attraverso la Russia contadina e slava che tanto assomiglia a come eravamo prima.
Camminate in silenzio nei cimiteri di guerra tra le montagne dal Carso al Pasubio all'Adamello.
Ricordate che dietro ad ogni grande scrittore non sempre c'è un uomo all'altezza. Rigoni è un'eccezione e questo ci rincuora, in lui era impossibile separare uno dall'altro.
Se possiamo imparare qualcosa da tutto questo, facciamolo durare.

Marco Paolini

venerdì 13 giugno 2008

Prove tecniche di recensione

Non ci sono sommersi né salvati tra i protagonisti del film di Francesco Munzi, Il resto della notte (Italia, 2008, 100’). Figure non finite di ciò che vorrebbe essere un affresco crudo e metallico del Nord Italia di oggi, visto come un incubo popolato da borghesi ricchi e soli. E da poveracci, immigrati e non, che tirano a campare. Ma l’affresco sembra più uno schizzo. Impreciso. Descrive la superficie ma non indaga le ragioni del malessere. Non graffia.

Sulle strade umide e slavate di Torino ci sono i coniugi – ricchi e in crisi – che licenziano la colf romena-faccia-d’angelo, sospettata di avere rubato un paio di orecchini. Così Maria, respinta da Giovanni (Aurélien Recoing) e Silvana (Sandra Ceccarelli), scende dall’inferno di cristallo della villa in collina a quello sporco e promiscuo delle case di ringhiera, in cerca del suo ex, Ionut. Lì, dove il sogno di un domani migliore è una chimera fatta di piccoli furti e rapine, di gioielli ricettati e scambiati in una roulotte fangosa di periferia. L’odore dei soldi aleggia. Quelli messi da parte per costruire un domani migliore sono sempre troppo pochi. Gli altri spariscono in strisce di cocaina che bruciano le narici di stranieri e italiani. Quelle di Ionut come quelle di Marco (Stefano Cassetti), occhi rossi, dentro e fuori dal carcere e dal Sert.

Torino è una piazza vuota, arida. Ma lo squallore iniziale non è mitigato né accentuato. Come non è approfondita la sofferenza dell’esistenza dei protagonisti, ognuno sull’orlo della disperazione per motivi poco perscrutabili. “Ho paura” dice Silvana al marito, nel bel mezzo di concerto a teatro. “Ma di che cosa?”, chiede lui. Risposta: “Non lo so”. Non lo sa, mentre Marco, Ionut e il fratello adolescente Victor tentano la rapina nella villa dei ricchi borghesi. Finirà in tragedia, per le cronache. Ma il dramma di chi sopravvive non viene raccontato. Le figure più innocenti, la figlia adolescente di Giovanni e Silvana, il figlio piccolo di Marco, il giovane Victor, rimangono marginali, come colte da una rabbia che spinge al mutismo. Parlano poco o niente. A volte sbottano contro le persone a loro più vicine. Nel film restano figure poco raccontate. La storia non ha quel ritmo che giustifichi la loro salvezza. O la loro dannazione nella condanna di vivere ancora.

L’affresco, nonostante si percepiscano delle buone intenzioni a priori, pare malriuscito. La foto scattata al Nord e ai suoi problemi, sfocata.