Non ci sono sommersi né salvati tra i protagonisti del film di Francesco Munzi, Il resto della notte (Italia, 2008, 100’). Figure non finite di ciò che vorrebbe essere un affresco crudo e metallico del Nord Italia di oggi, visto come un incubo popolato da borghesi ricchi e soli. E da poveracci, immigrati e non, che tirano a campare. Ma l’affresco sembra più uno schizzo. Impreciso. Descrive la superficie ma non indaga le ragioni del malessere. Non graffia.
Sulle strade umide e slavate di Torino ci sono i coniugi – ricchi e in crisi – che licenziano la colf romena-faccia-d’angelo, sospettata di avere rubato un paio di orecchini. Così Maria, respinta da Giovanni (Aurélien Recoing) e Silvana (Sandra Ceccarelli), scende dall’inferno di cristallo della villa in collina a quello sporco e promiscuo delle case di ringhiera, in cerca del suo ex, Ionut. Lì, dove il sogno di un domani migliore è una chimera fatta di piccoli furti e rapine, di gioielli ricettati e scambiati in una roulotte fangosa di periferia. L’odore dei soldi aleggia. Quelli messi da parte per costruire un domani migliore sono sempre troppo pochi. Gli altri spariscono in strisce di cocaina che bruciano le narici di stranieri e italiani. Quelle di Ionut come quelle di Marco (Stefano Cassetti), occhi rossi, dentro e fuori dal carcere e dal Sert.
Torino è una piazza vuota, arida. Ma lo squallore iniziale non è mitigato né accentuato. Come non è approfondita la sofferenza dell’esistenza dei protagonisti, ognuno sull’orlo della disperazione per motivi poco perscrutabili. “Ho paura” dice Silvana al marito, nel bel mezzo di concerto a teatro. “Ma di che cosa?”, chiede lui. Risposta: “Non lo so”. Non lo sa, mentre Marco, Ionut e il fratello adolescente Victor tentano la rapina nella villa dei ricchi borghesi. Finirà in tragedia, per le cronache. Ma il dramma di chi sopravvive non viene raccontato. Le figure più innocenti, la figlia adolescente di Giovanni e Silvana, il figlio piccolo di Marco, il giovane Victor, rimangono marginali, come colte da una rabbia che spinge al mutismo. Parlano poco o niente. A volte sbottano contro le persone a loro più vicine. Nel film restano figure poco raccontate. La storia non ha quel ritmo che giustifichi la loro salvezza. O la loro dannazione nella condanna di vivere ancora.
L’affresco, nonostante si percepiscano delle buone intenzioni a priori, pare malriuscito. La foto scattata al Nord e ai suoi problemi, sfocata.
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